Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge costituzionale intende riproporre la logica pattizia tra Stato e regioni autonome introdotta nel progetto di revisione costituzionale della Casa delle libertà in merito alle procedure di modifica degli statuti speciali. A tale proposito, quasi tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento hanno concordato che la modifica dell'articolo 116 della Costituzione, con l'introduzione e il riconoscimento del carattere pattizio tra Stato e regioni (che la riforma costituzionale del centrosinistra non ha in alcun modo considerato e recepito), era ed è da salvaguardare. Intenzione, questa, che in virtù dello spirito autonomistico che ci anima, con la presente proposta di legge si intende confermare e addirittura rilanciare. Ma con dei doverosi distinguo. Le autonomie speciali, infatti, non sono tutte uguali; in particolare, deve essere ricordata la specialissima autonomia del Trentino-Alto Adige, dove viene rovesciato il rapporto regione - province autonome, con le ultime che prevalgono nettamente in termini di competenze e di risorse economiche rispetto all'istituzione - cornice (peraltro in palese e silenziosa violazione dell'accordo De Gasperi-Gruber). Un aspetto, questo, che si deve tenere in considerazione per poter comprendere in profondità i princìpi di giustizia, nel rispetto degli articoli 3 e 6 della Costituzione,
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che animano le modifiche contenute nel presente testo e che pertanto desideriamo vedere sottratte alla partigianeria politica riconoscendo la necessità di approvarle con spirito unitario. Fino ad ora, in effetti, non si è tenuto sufficientemente conto della peculiarità etnico-linguistica che caratterizza in particolare la straordinaria autonomia della provincia di Bolzano, la quale non conosce eguali in Italia e forse persino in Europa. Crediamo fortemente che il legislatore abbia l'obbligo, nei confronti di tutti i gruppi linguistici ivi residenti, di consentire loro la partecipazione alla costruzione di un eventuale nuovo statuto d'autonomia, carta di rango costituzionale che regola ogni aspetto della vita in Alto Adige.
Per questo, prima del referendum costituzionale del 2006, in previsione di un esito positivo, avevamo predisposto una coraggiosa e doverosa proposta di legge costituzionale, ora «decaduta» insieme alla riforma, che conteneva una serie di commi aggiuntivi all'allora articolo 38 del disegno di legge sottoposto a referendum (che modificava appunto l'articolo 116 della Costituzione), finalizzati ad evitare ulteriori insopportabili discriminazioni etnico-linguistiche.
Con la modifica all'articolo 116 della Costituzione, infatti, si era inteso sancire il carattere pattizio delle modifiche costituzionali, introducendo il metodo dell'intesa tra Stato e - nel caso in questione - province autonome di Trento e di Bolzano. Fatta salva l'encomiabile intenzione del legislatore, la clausola dei due terzi applicata alla provincia autonoma di Bolzano ha suscitato molta preoccupazione - in particolare fra la popolazione di lingua italiana e parte di quella ladina - poiché affidava di fatto il diniego all'intesa al solo potere del gruppo linguistico tedesco e, in particolare, quasi di uno solo dei partiti che lo rappresentano, estromettendo totalmente dalle riforme statutarie i restanti gruppi italiano e ladino. Non è un caso, infatti, che in un proprio progetto di legge la Südtiroler Volkspartei (SVP) si spinge candidamente a riportare nero su bianco l'intenzione di giungere addirittura a un'intesa basata sulla maggioranza assoluta, e cioè sulla esclusiva potestà della stessa SVP. I media, a suo tempo, parlarono infatti addirittura di «blindatura» dell'autonomia, ben conoscendo i numeri etnici che la caratterizzano e le intenzioni nemmeno velate della SVP. Il consiglio della provincia autonoma di Bolzano è infatti espressione dei tre gruppi linguistici e attualmente (ma in futuro non vi è ragione di ritenere che cambierà) risulta composto da trentacinque consiglieri, dei quali ventisei appartenenti al gruppo linguistico tedesco, otto al gruppo italiano e uno a quello ladino (quest'ultimo fatto eleggere però all'interno della SVP e cioè sempre del partito di maggioranza assoluta del gruppo linguistico tedesco). Vi è da aggiungere che dei ventisette consiglieri appartenenti al gruppo tedesco, ventuno appartengono al medesimo partito, che è il partito di maggioranza assoluta in Alto Adige, la SVP, la quale nello stesso consiglio raccoglie lo scontato placet delle labili opposizioni tedesche. Ciò accade, in particolare, quando si tratti di far fronte comune sulla politica etnica o su modifiche statutarie, finalizzate appunto ad un rafforzamento dell'autonomia che si traduce spesso in una progressiva tendenza, verificabile in ogni aspetto della vita quotidiana della società altoatesina, alla ritedeschizzazione dell'Alto Adige. Il legislatore non può non tenere presente, infatti, che proprio le modifiche allo statuto di autonomia e la proliferazione di una strumentale normativa d'attuazione rischiano il più delle volte di modificare i già delicatissimi equilibri tra i gruppi etnici in Alto Adige. Lasciare dunque la decisione sulle eventuali modifiche dello statuto alla sola maggioranza dei due terzi significa consegnare ad un unico gruppo etnico, e prevalentemente quindi ad un unico partito, la decisione se rilasciare l'intesa alle modifiche statutarie deliberate dal Parlamento con una procedura costituzionale che offre garanzie molto più efficaci rispetto alla procedura introdotta a livello provinciale, e che nell'articolato che si propone abbiamo voluto ripercorrere anche
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per quanto attiene agli altri statuti speciali, reintroducendo l'obbligo di referendum consultivo già presente nell'articolo 54, terzo comma, dello statuto d'autonomia della Sardegna. Si rende quindi opportuno creare le condizioni per un coinvolgimento esteso il più possibile di tutti i gruppi etnico-linguistici, aumentando la maggioranza richiesta per il diniego all'intesa.
Peraltro, trattandosi di modifiche di rango costituzionale, l'apparente appesantimento dei lavori nel consiglio provinciale viene sicuramente compensato dalla ricerca del più ampio consenso possibile tra i gruppi etnici, peculiarità propria di questa terra, in cui le logiche etnico-linguistiche sovrastano decisamente e orientano totalmente quelle puramente di natura politica.
Si deve anche considerare che diversamente si creerebbe una procedura anomala: da una parte il Parlamento deve procedere a modifiche con procedura costituzionale, e quindi aggravata (e si discute proprio in questi giorni se procedere alla modifica dell'articolo 138 della Costituzione, eliminando la maggioranza assoluta e prevedendo solo la maggioranza dei due terzi e il conseguente referendum) e dall'altra si consente per gli statuti, sebbene di rango costituzionale, e nel caso dell'Alto Adige ad un unico gruppo etnico, di detenere il potere assoluto di decidere se consentire quella modifica, che equivale a dire che il Parlamento viene bloccato da una minoranza etnica nazionale, senza dar modo alle minoranze etniche locali (anzitutto quella italiana) di poter in alcun modo intervenire. Si deve pertanto intervenire per aumentare il quorum «locale»; in caso di non raggiungimento all'interno del consiglio provinciale di detto quorum, si dovrà procedere sempre, entro tre mesi dalla prima deliberazione delle due Camere, a referendum popolare per gruppi linguistici, sulla base dei dati dell'ultimo censimento etnico (attualmente, quello del 2001).
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